Aleardo Aleardi

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Aleardo Aleardi ritratto da Domenico Induno (1850 circa)

Aleardo Aleardi, nato Gaetano Maria Aleardi (1812 – 1878), poeta italiano.

Citazioni di Aleardo Aleardi[modifica]

  • Anzi per questo mio eccessivo amoreggiar con la Natura, non ricordo in quale scritto, m'ànno dato per sino del panteista. Io venero, è vero, quel magnanimo infelice di Giordano Bruno, che un papa à fatto bruciare in nome di quel Cristo che non avrebbe torto un capello a Giuda Scariotto; amo i filosofi, amo molto i sommi poeti della giovine Germania: ma quanto a panteista, lo sono a un bel circa,[...].[1]
  • Si guardan sempre e non si toccan mai.[2]

Canti[modifica]

Incipit[modifica]

Pria che sulle infelici artiche terre
Scenda la notte al morïente autunno
Col suo buio di mille ore; sul lembo
Dell'orizzonte, pari ad un fuggiasco,
Va circolando il sol per lunghi giorni
D'imminente tramonto: e poi ch'è spenta
L'ultima larva de la faccia d'oro,
Un incessante vespero scolora
L'onda e le terre, e l'aquilon ricopre
Di neve alta ogni cosa, a quella guisa
Che si coprono i morti.

Citazioni[modifica]

  • D'un de' tuoi monti fertili di spade, | niobe guerriera de le mie contrade, | leonessa d'Italia, | Brescia grande e infelice. (da Le tre fanciulle)
  • Quando il tuo sguardo innanzi a me scintilla | amabilmente pio | io chiedo al lume della tua pupilla: | «dimmi, se il sai, bel messagger del core, | dimmi, che cosa è Dio?» | E la pupilla mi risponde: – «Amore.» (da Fanciulla, che cosa è Dio)
  • Regina dell'aria, | dei nembi signora, | dai ghiacci perpetui, | mia eterna dimora, | impero le nuvole, | oscuro le stelle, | invio le procelle | sul torbido mar. (da Le inondazioni)
  • La ripa ondeggia, traballa il suolo, | fuggiamo a volo, fuggiamo a volo! (da Le inondazioni)
  • Vergine santa, madre dei dolori, | tu che al sole comandi e alla bufera, | abbi pietà di questi mille cuori | che innalzano al tuo cuore una preghiera. | Misericordia, o Vergine Maria, | d'una gente ridotta all'agonia. (da Le inondazioni)
  • Un dì per le sublimi Alpi io movea | dei nepoti di Tell. Da canto al ponte, | che da Satana à nome, in giù fissava | la vanità del pauroso abisso, | dove la Reissa, furibonda naiade | sbatte l'urne di porfido, e ululando | fugge non vista. Ivi afferrato un cembro, | curvo sul ciglio lungamente stetti | su la morte librato. Io non vedea | che rupi ed ombra. Un indefesso e freddo | vento recava sibili d'ignoti | augelli; un rombo di cose cadenti, | e rimoto pei ciechi antri un perpetuo | mugghio. L'arcano spirito del loco | a piombargli nel sen con malïarde | vertigini invitava. Era un terrore | con voluttà. (da È morta)
  • Pure è un dolor che passa ogni dolore | portar il lutto di persona viva. (da È morta)
  • E mi ricorda d'una blanda sera | per molta età, per duri casi ormai | remotissima. Ed era il dolce tempo | quando la state muore nell'autunno; | volgea la festa di Maria nascente. (da Un'ora della mia giovinezza)
  • Anch'io, vedi, son triste; e in fastidita | solitudine vivo; ed era, un tempo, | come allegria d'allodole pel cielo, | giocondo il volo de le mie giornate. (da L'invito)
  • Nata all'opaco | seno d'un masso che le ruba i soli, | le rame allunga sottilmente e piega | la tremula alberella. Urto di brezza, | che assidua spiri, non la spinge a quelle | curve insolite a lei; ma sì la tira | un istinto di sole, un indefesso | desiderio di luce. (da L'immortalità dell'anima)
  • "Sì; quel granel di polvere che vola | là giù, è la Terra. E pari a le funèbri | che fra poco vedrai larve di mondi | qua e là disperse, anch'ella quando fia | piena la cifra de' suoi dì fatale, | così travolta andrà per lo infinito. | Svanirà l'acqua che la bagna; l'aura | che la circonda; né scintilla alcuna | più nel suo grembo celerà di foco. | Vedovata di piante d'ogni forma | vivente, fredda, cavernosa, muta | passerà in cielo come passa in mare | naufraga nave, dove tutto è morto." (da L'immortalità dell'anima)
  • Veníano in quella vagolando a volo | festivo e obbliquo due farfalle, e l'una | l'altra inseguiva, petali viventi | aggirati dal zeffiro. Le vide | L'altissimo pittore, e a lei rivolto | Che si tacea: "Mira, amor mio, le disse: | La nostra vita fia come la vita | Di quelle due felici vagabonde, | sempre in mezzo all'april. Sarà un perenne | inseguirsi d'amore; una perenne | visita ai fiori de la gioia; sempre | inebrïati e liberi. L'avara | felicità, perpetua vïatrice, | scontri talora un solo istante al mondo, | e se ritardi ad afferrarla, sfugge, | né per rimpianti più torna. Quaggiuso | or tutto odora, tutto canta; l'aura | che tu respiri, ondeggia ai trilli novi | de gli augelli sposati; è tutta piena | dell'errabondo polline dei fiori; | l'acque e la terra cantano l'eterno | epitalamio de la vita; tutto | ama quaggiù: làsciati amare, o bella." (da Raffaello e la Fornarina)
  • Un giovinetto | pallido, e bello, con la chioma d'oro, | con la pupilla del color del mare, | con un viso gentil da sventurato, | toccò la sponda dopo il lungo e mesto | remigar de la fuga. Avea la sveva | stella d'argento sul cimiero azzurro, | avea l'aquila sveva in sul mantello; | e quantunque affidar non lo dovesse, | Corradino di Svevia era il suo nome. | Il nipote a' superbi imperatori | perseguito venia limosinando | una sola di sonno ora quïeta. | E qui nel sonno ei fu tradito; e quivi | per quanto affaticato occhio si posi, | non trova mai da quella notte il sonno. | La più bella città de le marine | vide fremendo fluttuar un velo | funereo su la piazza: e una bipenne | calar sul ceppo, ove posava un capo | con la pupilla del color del mare, | pallido, altero, e con la chioma d'oro. | E vide un guanto trasvolar dal palco | sulla livida folla; e non fu scorto | chi 'l raccogliesse. Ma nel dì segnato | che da le torri sicule tonâro | come Arcangeli i Vespri; ei fu veduto | allor quel guanto, quasi mano viva, | ghermir la fune che sonò l'appello | dei beffardi Angioíni innanzi a Dio. (da Il monte Circello)

Citazioni su Aleardo Aleardi[modifica]

  • C'era una cosa che turbava i sonni del nostro poeta. Il suo babbo aveva creduto bene di battezzarlo col nome di Gaetano, e all'Aleardi non garbava punto un tal nome; figuratevi niente di più prosaico che un sor Gaetanino. Ma un dì ei ci trovò rimedio e si ribattezzò col nome di Aleardo: nome, per dirla con un buon francese, qui attire et sonne bien. (Pompeo Gherardo Molmenti)
  • Discuto il poeta, non l'uomo. Osservazioni, epiteti, giudizî s'hanno a riferire, alla personalità dello scrittore Aleardo Aleardi, ente astratto; non allo Aleardi, uomo in carne ed ossa, che, da taluni, mi si afferma essere una cara persona. Se questo è, debbo rimpiangere di non aver avuto seco relazione di sorta, tranne una sola stretta di mano e momentanea. (Vittorio Imbriani)
  • Egli entrava nella sala [dell'Accademia di belle arti per le sue lezioni di estetica] con un'aria severa, quasi solenne, tenendo in mano il quaderno della lezione da leggere arrotolato e legato con un nastrino di seta a colore. La sua declamazione non era teatrale, ma faceva scorgere una grande preoccupazione dell'effetto, massime verso la fine. Il testo della lezione aveva anch'esso una stretta finale per strappare l'applauso. Insomma l'incesso, la declamazione, il contenuto dello scritto mostravano qualche cosa d'affettato, di ricercato, di lezioso che non lasciava nell'animo una buona impressione del suo carattere. Per molti che al pari di me lo conobbero soltanto di vista, l'Aleardi non fu altro che un superbioso: lo chiamavamo l'olimpico. (Luigi Capuana)
  • Il Prati e l'Aleardi avevan versato un fiume di lacrime retoriche, s'eran conquistata un'invidiabile popolarità a furia di romanticherie e di lamentazioni; poi erano scomparsi nel mondo delle ombre, trascinandosi dietro i loro versi e il loro nome. (Enrico Annibale Butti)
  • Incontriamo in casa Maffei[3] il poeta civile più acclamato, il poeta alla moda, il prediletto delle signore: Aleardo Aleardi. A prima vista, egli poteva essere scambiato per un tenore di grazia, ma appena apriva bocca, si comprendeva che per fortuna era ben altro. Egli splendeva in quel tempo, nello zenit della sua gloria e de' suoi teneri affetti. E quanti, troppi, teneri affetti!... Come il Gazzoletti[4] scriveva alla Maffei, egli s'innamorava ogni giorno; ma non era mai pago de' propri idoli. Anima non volgare, anelando all'ideale, sperava, al pari del Raffaello del suo idillio gentile, di trovarlo in questa valle di delusioni:
    Onde questa mi piovve insaziata
    Ansia d'un bello che non trovo in terra?
    (Raffaello Barbiera)
  • La fama dell'Aleardi è dovuta alle donne. Un bell'uomo, che s'atteggiava un pochino a martire (allora la cosa era di moda e ci si credeva), che parlava bene, sempre pronto a scrivere su per ogni albo versi gentili, che aveva modi così garbati... c'era più di quanto occorreva per riescire simpatico alle donne. Aleardi era divenuto il beniamino delle signore. (Pompeo Gherardo Molmenti)
  • Melanconico, non di quella melanconia affettata ch'era moda qualche anno fa di seminare pei carmi, onde gli adolescenti e le femminucce ven sapessero grado, ma d'una mestizia sincera, spontanea, quasi diremmo involontaria, d'una mestizia che vi fa pensare: quest'uomo ha molto sofferto; oppure quest'uomo ha cercato, ha cercato nella vita... che? un amico, forse – un amico, intendiamo, come se lo fabbrica nella sua mente un poeta – o una donna, ma qual donna! – e non ha trovato, o ha perduto, e si sente solo, o piuttosto si sente incompleto e si lagna, senza avvedersene quasi, il tapino, e quand'anche s'attenti a cantarvi l'osanna, le corde della sua lira non sanno farlo che in toni minori. (Aristide Calani)

Note[modifica]

  1. Dalla prefazione ai Canti, 1899.
  2. Da Lettere a Maria, I, L'invito, quart'ultimo verso.
  3. Il salotto Maffei fu, fin dal 1834, un celebre ritrovo milanese di artisti, letterati e patrioti.
  4. Antonio Gazzoletti (1813–1866), giurista e poeta italiano.

Bibliografia[modifica]

  • Aleardo Aleardi, Canti, G. Barbèra Editore, 1899.

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