Caitlín R. Kiernan

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C. R. Kiernan nel 2001

Caitlín Rebekah Kiernan (1964 - vivente), scrittrice statunitense.

La leggenda di Beowulf[modifica]

Incipit[modifica]

C'era un tempo prima degli uomini, un tempo ancor prima che il mondo esistesse, quando il cosmo era solo il nero vuoto dell'abisso di Ginnunga. Le distese ghiacciate di Niflheim all'estremo Nord e le terre delle luminose e scintillanti fornaci del gigante Muspell, chiamate Muspellsheim, all'estremo Sud. Nel grande abisso di Ginnunga, i freddi venti settentrionali incontrarono le calde brezze che soffiavano da sud e il turbinio di neve e frandine si sciolse e gocciolò nel nulla per formare Ymir, padre di tutti i giganti del ghiaccio. I giganti lo chiamarono Aurgelmir, colui che fa bollire il fango. Da questo gocciolio di brina si formò pure la prima mucca, Audhumla, che con il suo latte alimentò Ymir e con la lingua leccò un blocco di sale, dando luce al primo degli dei, Buri. In tempi successivi, Bor, il figlio di Buri, ebbe tre figli dalla gigantessa Bestla, Odino, Vili e Ve, e furono loro a uccidere il grande Ymir e a portare il suo corpo nel freddo centro dell'abisso di Ginnunga. Con il suo sangue crearono i laghi, i fiumi e i mari e con le sue ossa scolpirono le montagne. Con i denti massicci formarono le pietre e la ghiaia; con il cervello le nuvole e con il cranio costruirono il cielo e lo stesero in alto sopra la terra. Fu così che i figli di Buri costruirono il mondo che sarebbe diventato la casa dei figli degli uomini. (pp. 1-2)

Citazioni[modifica]

  • [Su Hrothgar] È vecchio, i tempi delle battaglie sono ormai alle sue spalle, la lunga barba e le trecce nei capelli sono bianche come la neve. (p. 8)
  • Che cos'è la vescica piena di un uomo di fronte alla volontà del suo re? (Aesher) (p. 11)
  • Al di là delle possenti mura di fortificazione di Hrothgar, oltre cancelli e ponti e abissi, là dove la campagna e i suoi pascoli si tramutano in territorio incolto, lì c'è una foresta più vecchia della memoria umana, un bosco che esiste da prima dell'arrivo dei danesi. E nelle valli che si estendono all'estremità di quegli alberi nodosi, paludi ghiacciate e laghi senza fondo riconducono al mare, e collinette rocciose crivellate di cave, gallerie scavate nella pietra s'infilano, come larve, nella carne dei morti.
    In una di queste caverne qualcosa di enorme e, agli occhi umani, di spaventoso è accovacciato nella sporcizia e nella ghiaia, in una possa di luce lunare che trapela dall'entrata della caverna. Geme in modo penoso e stringe il cranio deforme e infermo, coprendosi le orecchie sformate nel tentativo di escludere gli strazianti suoni dei festeggiamenti che arrivano come neve martellante e rombante da Heorot. Sebbene il palazzo e la torre sulla scogliera siano solo un bagliore lontano, le pareti e gli spazi della caverna hanno qualcosa di magico, una particolare qualità che esalta quei rumori distanti e li trasforma in un clamore assordante. E così le orecchie di questa specie di troll fischiano e dolgono, fatte a pezzi senza pietà dal canto degli uomini di Hrothgar proprio come la riva viene ridotta in sabbia dalle onde. (p. 13)
  • La creatura stringe i pugni e fissa il gelido cielo notturno dall'ingresso della caverna, implorando senza parole Mani, il dio della luna bianca, figlio del gigante Mundilfari, di por fine una volta per tutte al tremendo rumore. «Io non posso farlo», spiega la creatura al cielo. «Mi è vietato. Mia madre... lei mi ha detto che loro sono troppo pericolosi.» E poi immagina una grandinata di pietre e di fiamme argentate lanciate dal gigante luna, che cadono dal cielo per cancellare per sempre le odiose e ingiuriose voci degli uomini. Ma il canto continua e l'indifferente luna pare schernire il tormento della creatura. (pp. 14-15)
  • [Sugli umani] Ricorda, loro ci faranno del male. Ne hanno uccisi tanti di noi... della nostra specie... giganti, draghi. Ci hanno dato la caccia fin quando non ne sono rimasti più da inseguire. Daranno la caccia anche a te, se prendi l'abitudine di ucciderli. (Madre di Grendel, p. 29)
  • Alcuni odi sono troppo in profondità per essere soddisfatti da una sola notte di terrore e massacro. (p. 31)
  • Puoi desiderare in una mano [...] e cagare nell'altra, e poi guarda quale si riempie prima. (Hrothgar, p. 33)
  • Che gli dei siano dannati e annegati! [...] Se ancora non hanno capito che un venticello e un po' d'acqua non riusciranno mai a spaventarmi, allora sono solo degli esseri sciocchi! (Beowulf, p. 37)
  • Questa giornata ha il colore della tomba, pensa re Hrothgar, fissando tristemente il mare rabbioso e immaginando gli abiti grigi e l'uniforme bagliore grigio degli occhi di Hel che aspetta ogni uomo che non muore in battaglia o per qualche altra impresa coraggiosa, ogni uomo che permette a se stesso di diventare debole e di deperire in torri di pietra. Anche uomini coraggiosi che da giovani hanno ucciso dei draghi possono morire vecchi e ritrovarsi ospiti a Eljudnir, l'umido palazzo di pioggia di Hel. [...] Ha cominciato a vedere i cancelli di Hel in sogno, incubi nei quali lui non fa che snidare e affrontare Grendel, ma quel demonio si rifiuta di lottare con lui, negandogli pure la gentilezza di una morte da eroe. (pp. 41-42)
  • Sono grande e sono forte. Nessuno di loro è un avversario degno di me. Divorerò la loro carne e berrò il loro dolce sangue e triturerò le loro fragili ossa tra i miei denti. (Grendel, p. 54)
  • Le tre norne siedono ai piedi di Yggdrasil, tessendo le trame del Fato di tutte le nostre vite. Io non sono altro che un filo nel loro telaio, come lo siete voi, mia signora. I nostri destini sono già stati orditi in quell'arazzo quando il mondo era ancora giovane. Non si guadagna nulla preoccupandosi di ciò che non possiamo cambiare. (Beowulf, p. 58)
  • Nel suo sogno, Grendel, seduto davanti alla caverna, sta guardando il tramonto. Non è inverno, ma metà estate, e l'aria è calda e sa di erba e di dolce. Il cielo sopra di lui è acceso dalla ritirata di Sol e a est le ombre scure di un lupo del cielo la stanno ricorrendo. Grendel tenta di ricordare i nomi dei due cavalli che, ogni giorno, tirano il cocchio del sole attraverso il cielo, i nomi che sua madre gli aveva insegnato tanto tempo fa. Ha nella testa un dolore tremendo, bruciante, come se fosse morto nel sonno e il suo cranio si fosse riempito di vermi affamati e di scaragaggi rosicchianti, come se cornacchie grigie gli becchettassero avidamente gli occhi e gli infilassero i becchi acuminati nelle orecchie. Ma anche nel sogno, sa che quel dolore non è provocato dai morsi di vermi e dalle pugnalate di becchi.
    No. Il dolore arriva dalle finestre e dalle porte aperte del palazzo di Heorot, attraversa il paese ammorbando il vento e gettando ombre ancora più profonde tra i rami della vecchia foresta. È un canto crudele intonato da una donna crudele, una nenia che lui sa essere stata foggiata proprio per aprirsi un cunicolo nella sua testa e farlo soffrire e rovinargli la pura gioia di una splendida serata estiva. E Grendel sa anche che il sole in questo giorno non sta sfuggendo alle fauci sbavanti del lupo Skoll, ma piuttosto a quel canto. Quel canto che potrebbe squarciare il cielo e fendere le pietre e far evaporare i mari. (pp. 71-72)
  • Questi uomini sono deboli, è vero. Ma uccidono ugualmente draghi e ammazzano troll e fanno guerre e tengono il destino del mondo nelle loro piccole e morbide mani, anche mentre tu giochi con quei pezzetti di conchiglie. (Madre di Grendel, p. 73)
  • «Perché uccidono i draghi?» chiede alla madre che sospira e striscia lungo il bordo della pozza.
    «Perché loro non sono draghi.»
    «Ed è per questo stesso motivo che uccidono i troll?»
    «Non sono dei troll», risponde la madre. «Gli uomini non possiedono né il respiro infuocato né le ali dei draghi, e non hanno la forza dei troll. Sono gelosi di queste cose e le temono. Distruggono. Saccheggiano. Per la gloria, per invidia, per paura e per rendere sicuro il loro mondo. E io non posso nasconderti sempre, figlio mio.» (pp. 73-74)
  • Una corazza forgiata dall'uomo riuscirà soltanto a rallentarmi. No. Stanotte combatteremo alla pari, questo Grendel e io. Deciderà il Fato. Le norne hanno già tessuto il loro arazzo del destino e io non posso disfarlo né con il cuoio né con il freddo ferro. Che il demone mi affronti mentre sono disarmato, se è così che osa farlo. (Beowulf, pp. 80-81)
  • Tutti gli uomini giusti combattono per l'onore e per dimostrare di essere degni di un posto nel Valhalla, potrebbero però anche combattere solo per tenere al sicuro quelle splendide seppur rare visioni che esistono sotto le mura di Midgard, sotto il percorso del sole e della luna. (pp. 81-82)
  • Ammetti di aver fatto sesso con una selvaggia donna dei Vandali eppure ti offendi quando il povero vecchio Olaf solleva la questione delle pecore? (Beowulf, p. 86)
  • Da qualche parte nelle sue vene scorrerà ancora sangue di gigante, ma Grendel è un essere bastardo e rozzo, una disgrazia, impuro, e gli Jotnar, i giganti, hanno di continuo dimostrato di detestarlo. Non gli hanno mai rivolto la parola né hanno mai risposto ai suoi appelli, non si sono mai degnati di offrire il più piccolo sollievo alla sua sofferenza. (p. 89)
  • Al limite della foresta, Grendel digrigna i denti e si copre le orecchie, mentre il suo scheletro scricchiola e le sue articolazioni schioccano. Il dolore e la rabbia suppurano dentro di lui come pus sotto la pelle infettata e, come un'infezione, il corpo si gonfia e s'ingrossa, raggiungendo rapidamente una dimensione doppia rispetto al normale. Una magia che non capirà mai, una maledizione segreta, e ben presto la sua testa sfiora i rami che solo pochi minuti prima pendevano alti sopra di lui. Se solo non finisse qui, se solo potesse continuare a crescere tanto da diventare così alto da poter strappare l'indifferente luna dal cielo notturno e lanciarla sul tetto di Heorot. Allora cadrebbe il silenzio, un silenzio che potrebbe durare per sempre, o per quel tanto di eternità che servirebbe a lui, e il luminoso occhio della luna non lo irriderebbe più dal suo cammino tra le nuvole. (pp. 90-91)
  • Vorresti sapere chi sono? [...] Ebbene, sono uno che colpisce, lacera e squarcia, uno che cava gli occhi agli avversari. Sono i denti delle tenebre e gli artigli della notte. Sono tutte le cose che credevi di essere tu. Mio padre, Ecgtheow, mi ha chiamato Beowulf, Lupo delle Api, come certi chiamano l'orso che è ghiotto di miele, essere demoniaco. (Beowulf, p. 103)
  • Hanno trovato la morte che cercano tutti gli uomini coraggiosi, e ora sono einheriar, spiriti di guerrieri morti che hanno combattuto valorosamente in battaglia. Insieme hanno attraversato da eroi Valgrind, sono stati accolti da Bragi e dalle Valchirie. Oggi cavalcheranno nelle ampie e verdi pianure di Asgard, preparandosi per il momento in cui si uniranno agli dei e combatteranno contro i giganti durante il Ragnarök. E questa notte, mentre noi abbiamo ancora freddo e siamo esausti e fradici di pioggia, loro banchetteranno alla tavola di Odino nel Valhalla e al mattino si sveglieranno con gioia al canto del gallo Gullinkambi per galoppare di nuovo nei campi di Idavoll. Non moriranno vecchi e malati e costretti a letto. (Beowulf, p. 118)
  • Che altro è infatti un uomo, se non la somma di gesta gloriose e di imprese coraggiose? In quale altro modo potrebbe trovare la strada per Asgard o per le limitate ricompense di questo mondo? (p. 120)
  • Al di là della brughiera e della foresta e delle paludi, nella caverna sotto la caverna, questa profonda e antica cavità nella sottile crosta del mondo, la madre di Grendel piange sola. Ha trasportato il corpo mutilato del figlio dalla pozza, la pozza sotto il laghetto superiore, e lo ha disteso dolcemente su una sporgenza in pietra nel muro dell'immensa caverna. Una volta quella sporgenza era un altare, un luogo sacro costruito dagli uomini per venerare una dea dimenticata di un popolo dimenticato, e il piano d'ardesia color carbone è incrostato con gli avanzi delle offerte di tanto tempo fa, gioielli e pezzi d'oro, d'argento e di bronzo, e ossa di animali e uomini. Qualsiasi cosa sia stata, ora è solo l'ultimo letto del figlio morto. Lei si china, le sue labbra sfiorano la pelle senza vita del figlio, i lunghi artigli accarezzano lo sfiorito cadavere. Lei è vecchia, anche mentre le montagne e i mari segnano il tempo, anche mentre Aesir e Vanir e i giganti di Jotunheimr contano il passaggio delle ere, ma il peso del tempo non le ha indurito il cuore alla perdita. L'ha resa, semmai, più consapevole del vuoto lasciato da ciò che le è stato tolto. (p. 131)
  • Non sa se nel grande, ampio mondo, esiste ancora qualcuno della sua razza, e così crede di essere l'ultima. Né troll ne gigante o drago né qualcosa che li assomma, una qualche razza notturna generata nei primi giorni della creazione, quando Midgard era ancora giovane, e poi cacciata, spinta nel corso di innumerevoli millenni nell'oblio. Lei aveva una madre, che ricorda vagamente, soprattutto quando si sveglia da un sogno o quando si addormenta. Se mai ha avuto un padre, il suo ricordo è svanito per sempre.
    Molto prima dell'arrivo dei danesi, su questa terra c'erano uomini che la chiamavano Hertha e Nerthus, e la adoravano in boschetti sacri e in laghi cheti e in grotte segrete come Madre Terra, come Nerpuz e a volte come Njordr dell'Asynja, moglie di Njord e dea del mare. Lei aveva sempre accolto con piacere le loro preghiere e le loro offerte, i tributi e il rispetto che avevano di lei. La paura che avevano di lei la teneva al sicuro, ma non era mai stata una dea, solo qualcosa di più tremendo e di più bello dei semplici uomini.
    Ora è una leggenda, intravista da viaggiatori sfortunati nelle notti tempestose. Marinai e pescatori su e giù per le coste danesi scambiano timorosi sussurri di sirene e troll marini e sahagin. Coloro che passavano accanto alla palude nelle notti di mezza estate potrebbero avere scorto di sfuggita l'aglaec-wif, l'aglaeca, la merewife o moglie del demonio. Ma sia lei sia tutti i suoi antenati sarebbero stati dimenticati completamente e per sempre dall'umanità se non fosse stato per Grendel. (p. 132)
  • La verità detta in modo avventato resta verità. (Wiglaf, p. 142)
  • Tutti coloro che vivono aspettano il momento della loro morte. [...] È questo il significato della vita. Attendere a lungo che la morte ci rivendichi. L'unico conforto del guerriero è che la morte lo trovi dopo che lui ha trovato la gloria. Quando sarò morto, che altro rimarrà di me, mia signora, se non le storie che gli uomini racconteranno delle mie imprese? (Beowulf, p. 144)
  • Quella, la madre di Grendel, la signora della laguna, dicono che suo figlio non fosse altro che la sua pallida ombra. (Agnarr, p. 148)
  • Mi auguro che non stiamo dando la caccia a un drago. [...] La seccatura di un normale troll marino basterebbe per un giorno. (Wiglaf, p. 149)
  • [Sulla madre di Grendel] È grottesca, come se il suo creatore avesse avuto in mente un orrendo amalgama tra una lucertola e una bestia marina. Ha occhi lapislazzuli e la sua ruvida criniera sembra intessuta con in filo d'oro. (p. 162)
  • [Sulla corona] Pensano che questa fascia d'oro sia tutto ciò che serve per essere un re. Ritengono che, poiché porto questa cosa, io sia più saggio di loro. Più coraggioso. Migliore. [...] Un giorno comprenderai il prezzo, il tremendo prezzo che si paga per i suoi favori e per il trono. Saprai come si sente un burattino, appeso penzolante ai suoi fili... (Hrothgar, p. 175)
  • Non vedrò Asgard. [...] Non è fatta per gli occhi di uomini come me. (Hrothgar, p. 178)
  • Dopo la spiaggia e le cose che ha visto laggiù, le cose che ha detto e fatto e quelle che sono state dette e fatte a nome suo, desidera ardentemente sentirsi pulito.
    Forse, pensa, è per questo che tanti uomini si allontanano da Odino e dai suoi fratelli per rivolgersi al Cristo romano ammazzato e al Dio senza nome che si dice sia suo padre. Quella promessa che verranno resi nuovamente puri e puliti e liberati dal peso e dalle conseguenze delle scelte fatte. (pp. 190-191)
  • «Voi, padre. Ho una domanda che mi tormenta. Forse voi potete rispondermi.»
    «Posso provarci», replica nervosamente il prete e Wealtheow lancia un'occhiata al re.
    «Bene. Ottimo. Allora ditemi, padre, se il vostro dio è ora l'unico dio, che ne ha fatto di tutti gli altri, gli Aesir e i Vanir? È un guerriero tanto potente da avere avuto la meglio su tutti loro, anche su Odino?»
    Il prete socchiude gli occhi e china la testa, fissando le pietre ai suoi piedi: «C'è un solo Dio», risponde pazientemente, «e non ce n'è mai stato un altro.»
    Beowulf si avvicina al prete, che è almeno una testa più basso di lui. «Allora deve essere un tipo tremendamente impegnato, il vostro dio, se deve sbrigare il lavoro di tanti. Come fa, per esempio, a lottare con i giganti, a tenere sotto controllo i figli di Loki, a preparare le truppe ad Asgard, e a trovare ogni giorno il tempo di dispensare tanto amore e grazia e perdono al suo popolo?»
    «Non mi lascerò prendere in giro, mio signore», mormora il prete.
    «Prendere in giro?» ridacchia Beowulf, guardando prima Ursula, poi Wealtheow e simulando l'innocenza. «Non sto cercando di prendervi in giro, prete. Queste domande mi perseguitano davvero, e credevo che voi avreste avuto le risposte, dato che dite che questo dio senza nome parla con voi.»
    «Se deridete Lui,» osserva il prete, «lo fate mettendo in pericolo la vostra anima immortale.»
    «Ecco, allora immagino di dover cercare di essere più attento.»
    «Beowulf», esclama Wealtheow, mettendosi tra il prete e il marito. «Smettetela immediatamente.»
    «Ma non gli ho ancora chiesto nulla sul Ragnarök», protesta Beowulf.
    Il prete alza la testa e osa incrociare lo sguardo del re da dietro la barriera protettiva della regina. «È una favola pagana, questo Ragnarök», asserisce, poi si rivolge a Wealtheow. «Vostro marito è un infedele, e io non mi lascerò ridicolizzare...»
    «Ho solo chiesto...» inizia a dire Beowulf, ma il freddo fuoco negli occhi di Wealtheow lo zittisce.
    «Perdonatelo, padre», dice Wealtheow. «È un vecchio difficile e con abitudini troppo radicate.»
    «Giusto,» borbotta lui. «Sono senza speranza. Per favore, non badate a me.» (p. 193-194)
  • Gli alberi mi dicono cose. Le rocce parlano con me. Io parlo con le paludi e gli uccelli e gli scoiattoli. Tutti mi dicono ciò che gli uomini hanno dimenticato o non hanno mai saputo. [...] C'è una storia, [...] una storia che gli abeti rossi che crescono al limitare della palude sussurrano tra loro quando c'è una luna nuova. Racconta che lord Beowulf aveva stretto un patto con la merewife per diventare re dei danesi degli anelli e lord di Heorot, e che questo stesso accordo era stato stretto da re Hrothgar prima di lui. [...] Ha molti nomi. Forse una volta è stata venerata come una dea. Qualcuno l'aveva chiamata Njordr, moglie di Njord, altri Nerthus, dea della fertilità e altri ancora signora della laguna. A questo non credo. Lei è qualcosa strisciato fuori dal mare, un tremendo fantasma uscito dalle sale di Aegir. Ha abitato a lungo nel laghetto che tuo padre chiama la tomba dei draghi, e in occulte caverne che portano nel mare. Presso di lei Hrothgar ha generato il suo unico figlio. (Sigga, pp. 214-215)
  • Preoccupati dei draghi. [...] Preoccupati dei troll e delle streghe, ma non parlare più di lupi. (p. 225)
  • Il cielo sopra di lei è a brandelli e pendono lunghe strisce grigio-blu. Capisce che a Midgard è arrivata l'ora del Ragnarök. Il gigantesco lupo Fenrir è diventato tanto grande che, quando spalanca le fauci, il suo muso sposta le stelle e il mento si trascina sulla terra. Si è liberato dalla catena degli gnomi ed è fuggito dalla prigione sull'isola di Lyngvi e presto il figlio di Loki divorerà Odino, padre di tutti gli dei e gli uomini, prima di venire ucciso dal figlio di Odino, il silenzioso dio Vidharr. Ursula vuole distogliere lo sguardo, vuole girarsi e tornare di corsa nella fortezza, ma non riesce a staccare gli occhi da Fenrir che riempie tutto il cielo lacerato. Ha denti come montagne e la sua sagoma irsuta impedisce il diffondersi della luce del sole. Dalle sue fauci gocciolano fiumi fumanti che bruciano il mondo. (pp. 225-226)
  • Potrei dirvi, mia regina, che nella saggezza dei miei anni ho appreso che nessuna beltà vale un simile tremendo prezzo. Potrei dirvi che era solo una rivoltante strega del mare che mi ha ammaliato con un sortilegio e mi ha indotto a pensare che fosse tanto bella. Ma quale vantaggio ne trarremmo? Sì Wealtheow, è splendida, una bellezza oltre ogni giudizio e oltre mere parole e quasi oltre la fantasia. Una bellezza per quale morirebbe gli stessi dei di Asgard. [...] O addirittura il vostro Gesù spirituale. [...] Anche lui sarebbe sceso dalla sua croce romana per amore di una simile bellezza. (Beowulf, p. 239)
  • Nessuno vede mai mia madre, [...] A meno che lei lo voglia. Neppure io. (Drago, p. 252)
  • Tu, un vecchio senza un erede per il suo trono, sei mai stato sveglio nel silenzio della notte a porti domande sul figlio che hai barattato per il potere e la ricchezza? Ti sei mai chiesto se avesse sogni e aspirazioni, se desiderasse essere qualcosa di più di un fantasma o un brutto ricordo? (Drago, pp. 253-254)
  • Di' ciò che vuoi, padre. La mia pelle è spessa e non puoi spingermi a odiarti più di quanto già non faccia. Invero, se tu dovessi incidere il mio odio su ogni stella in cielo, su ogni granello di sabbia su ogni spiaggia da adesso alla fine del tempo, ancora non avresti la minima idea di quanto io ti odi... (Drago, p. 254)
  • Io sono, come hai detto, un abominio, un demone nato da un'abominevole unione e inadatto a sedere sul tuo trono e su un qualsiasi trono umano. (Drago, p. 254)
  • Il collo è lungo e segnato da muscoli serpentini e, dove prima c'erano le braccia, ora ci sono due gigantesche ali. Una cosa appuntita e spinosa sbatte a destra e a sinistra e con un solo colpo sbriciola la pietra dell'altare. La bestia è gigantesca, come una piccola balena, grande almeno quanto il mostro marino con cui aveva lottato Beowulf durante la gara di nuoto con Brecca tanto tempo prima. Scuote la sua massiccia testa da una parte all'altra e Beowulf viene sommerso da aria bollente. (p. 256)
  • Hai finalmente conosciuto tuo figlio? [...] Vale tanto più del mio povero idiota Grendel, ma suo padre... suo padre vale tanto più di quanto sia mai valso quel grasso e stupido Hrothgar. (Madre di Grendel, p. 257)
  • Al centro del mondo si erge il frassino Yggdrasil, il più grande e il migliore di tutti gli alberi, e sotto le radici di Yggdrasil dimorano le tre vergini, le norne, che non smettono mai di lavorare, impegnate ai loro telai, filando e forgiando le vite di ogni uomo e di ogni donna, tessendo ciò che deve uscire dal caos e da infinite possibilità. Gli stessi dei di Asgard sono solo fili del manufatto delle norne, e neppure loro, come gli uomini mortali e i giganti, potrebbero dare una sbirciata ai fili delle loro esistenze o conoscere il giudizio di quelle dita agili e instancabili. Solo le tre vergini conoscono la lunghezza di ogni filo, là sotto le radici del frassino del Mondo. Fu così anche per Beowulf, che aveva cercato la gloria e la morte valorosa inseguita da coloro che desiderano entrare nel palazzo di Odino e combattere con gli dei nella battaglia decisiva all'avvento del Ragnarök, quando i figli di Loki, camminatore dei Cieli e trasformatore, vagheranno di nuovo liberi per il cosmo. Al momento della sua nascita, le norne avevano già tessuto il destino di Beowulf e, in tutte le lotte fino al giorno della sua morte, lui aveva solo seguito il corso di quel filo. (p. 285)

Explicit[modifica]

E le norne, Urd, Verdandi e Skuls, le tre parche intente a tessere sotto le radici di Yggdrasil, osservano il progresso di un altro filo stretto nei loro telai. Perché ogni singolo filo è per loro una magia, e così filano e aspettano con la pazienza di tutte le cose immortali.

Bibliografia[modifica]

  • Caitlín R. Kiernan, La leggenda di Beowulf, traduzione di Marina Depisch, Sperling & Kupfer, 2007 ISBN 978-88-200-4405-3

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