Domenico Gnoli (poeta e storico)

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Domenico Gnoli

Domenico Gnoli (1838 – 1915), poeta, storico dell'arte e bibliotecario italiano.

Citazioni di Domenico Gnoli[modifica]

  • Interprete del sentimento e della vita romana, scultore e architetto officiale del papato, domina tutto quel secolo, tutta l'arte di Roma Lorenzo Bernini, che operò senza posa sotto nove pontificati. Egli fu detto corruttore, che meglio dovrebbe dirsi rigeneratore. Nelle acque stagnanti dell'arte con cui si apriva il secolo XVII, grande senza grandiosità, scorretta senza novità, egli portò il soffio potente del genio; la agitò, la mosse, fino a sconvolgerla in tempesta. Il grande, il magnifico, l'ingegnoso, l'appariscente, il maraviglioso, l'eccessivo, era lo spirito, l'ideale del tempo; e questo, Michelangelo meridionale, egli tradusse nell'arte.[1]

Studi letterari[modifica]

  • [Giuseppe Gioachino Belli] Era ben' infelice il suo stato: poiché fanaticamente devoto dell'altare e del trono, non poteva aprir bocca senza che un allegro stormo di sonetti fuggitigli dal nido gli svolazzassero intorno ridendogli sul viso e canzonandolo, audaci araldi d'idee dalle quali allora abborriva. Avrebbe voluto ripigliarli per l'ali, fulminare solennemente la paterna maledizione contro a' figli irriverenti che simili a Cam[2] osavano disvelare le sue passate vergogne; ma un sorriso involontario, e seguìto da rimorso, tradiva sul volto del vecchio la tenerezza paterna. (pp. 3-4)
  • Lo ricordo come fosse adesso il povero Belli, con quella ipocondria che gli grommava giù dalla faccia, con quel suo fare da misantropo, la fronte alta, la faccia lunga e piuttosto gialla che pallida, i movimenti penosi come d'uomo che abbia il freddo nell'ossa: lenti ed arguti l'occhio e la voce, chiuso il collo nel suo cravattone nero. Dove fosse gente raccolta, non gli era permesso di parlare sul serio; che ciascuno deve portare il peso della riputazione che si è fatta. (p. 4)
  • [Giuseppe Gioachino Belli] La sua riputazione era d'uomo che faceva ridere: ed egli, che lo sapeva, non si faceva pregare a giocar di facezie, ora argute ora grosse e volgari, ma che non mancavano mai di produrre il loro effetto: parte per la prevenzione che quando egli apriva bocca si avesse da ridere; parte pel bizzarro contrasto tra le facezie che diceva e il modo serio del dirle. Ma quasi mai non gli era permesso uscir d'una casa senza aver detto alcuno dei suoi sonetti romaneschi: ed egli (parlo sempre degli ultimi anni) soleva scegliere i più innocenti tra quelli che aveva a memoria. I verità i suoi sonetti, recitati da lui con voce alquanto sommessa, con espressivo spianare e aggrottare di ciglia, col più puro accento trasteverino e cento gradazioni di voce e inflessioni finissime, pigliavano un colore che, recitati o letti, non avranno mai più. (pp. 4-5)
  • Dalle origini della nostra letteratura fino al cadere del Cinquecento (poi, raramente) a dire rima e rimatore era come dire poesia e poeta: tanto la rima si riteneva come essenziale alla poesia. Né questo solo in Italia, ma in tutte le letterature europee: che anzi l'Italia, in fatto di rima, non seguì mai gli eccessi dell'antica poesia francese, e presto lasciò da parte i giochetti della provenzale. (p. 181)
  • Le opere di Pier Jacopo Martelli sono sepolte da un pezzo nelle biblioteche, e di lui non sopravvive che il nome appiccicato al verso che, ad imitazione de' francesi, volle introdurre nella tragedia italiana. Questa novità che ha salvato il suo nome dall'onda letea[3] non fu un vano capriccio. Osservando egli con quanto favore fossero accolte le tragedie francesi e quanto poco piacessero le italiane, credette che ciò derivasse in gran parte dal non essere l'endecasillabo italiano adatto al teatro. (p. 328)

Citazioni su Domenico Gnoli[modifica]

  • E di tanti [dei poeti della scuola romana] solo uno sopravvive in ispirito e in corpo, Domenico Gnoli, che, dopo molteplici reincarnazioni in avventurosi pseudonimi, trovò la sua anima sotto le spoglie di Giulio Orsini, e la manifestò in alcune liriche, Orpheus, ch'ebbero clamorosa fortuna finché il pubblico poté udirvi il primo grido di una nuova energia poetica ricca d'avvenire, e poi furono messe un poco da parte quando non senza delusione si seppe che l'autore era a mezza via fra i sessanta e i settant'anni. Ma si tornerà a cercare in quel gramo libriccino quanto di più vivo abbia dato la poesia della nuova Italia dopo Pascoli e D'Annunzio. (Giuseppe Antonio Borgese)

Note[modifica]

  1. Da Roma e i Papi nel Seicento, in AA. VV., La vita italiana nei Seicento. Conferenze tenute a Firenze nel 1894, Fratelli Treves editori, Milano, 1895, pp. 97-98.
  2. Cam, figlio di Noè, aveva visto la nudità del padre ubriaco.
  3. Del Lete, fiume mitologico le cui acque portavano all'oblio.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]