Fazio degli Uberti

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Fazio degli Uberti (1305 o 1309 – dopo 1367), poeta italiano.

Citazioni di Fazio degli Uberti[modifica]

  • Io chiamo, io prego, io lusingo la morte | come divota, cara e dolce amica, | che non mi sia nemica | ma vegna a me come a sua propria cosa | [...]. (Canzoni, X[1])
  • [a Napoli] Non v'è re , ma reina, | giovane e bella, e guida la contrada: | molto è gentil, ma non sa della spada. (da Liriche, a cura di R. Renier, Firenze, 1883, p. 95.[2])

Il Dittamondo[modifica]

  • Onor si acquista per soffrire affanni, | Purché l'affanno sia in cosa degna, | E darsi all'ozio è vergogna con danni. (libro I, cap. I; 1826, p. 3)
  • [...] molte volte l'uom per troppa fretta, | volendo far, disfà [...]. (libro I, cap. III; 1826, p. 9)
  • Ah vanagloria, sei come una rama | di persico fiorita, che in un poco | sei tanto bella, poi ti mostri grama! (libro II, cap. XX; 1826, p. 158)
  • Vidi Tietta, dove già fu 'l seggio | della madre d'Achilles, e di questo | per testimon quei del paese chieggio. (libro III, cap. I; 1826, p. 202)
  • Per que' valloni e per quelle ricise | andammo, in fin che fummo dove Giano, | dico l'antico, prima pietra mise. | Questa citta [Genova] è tutta in poggio e in piano, | racchiusa tra Bisagno e Poncevere, | con bei palagi e 'l sito dolce e sano. (libro III, cap. V, vv. 97-102; 1952, p. 198)
  • Io fui in San Lorenzo, per vedere | la testa del Battista e la scodella, | ch'è di smeraldo e vale un grande avere. (libro III, cap. V, vv. 106-108; 1952, p. 199)
  • E vidi un'altra novità in quella | città, [Genova] che dura da la state al verno, | che strana pare, quando si novella: | io dico che i demoni de lo 'nferno | non son sì neri, come stan dipinte | le donne qui, ché più non ne discerno | che gli occhi e i denti, sì son forte tinte. (libro III, cap. V, vv. 109-115; 1952, p. 199)
  • Nobile, e grande è la città di Genova | e più sarebbe ancora, se non fosse | che ciascun dì per sua discordia menova. (libro III, cap. VI, vv. 1-3; 1952, p. 199)
  • Italia è tratta in forma d'una fronda | di quercia, lunga e stretta, e da tre parte | la chiude il mar e percuote con l'onda. (libro III, cap. XI; 1826, p. 235)
  • Volti di donne dilicati e belli, | uomini accorti e tratti a gentilezza, | maestri in arme, in cacce e in uccelli, || L'aere temperata e con chiarezza | soavi e dolci venti vi disserra: | piena d'amor, d'onore e di ricchezza. (libro III, cap. XIV; 1826, p. 248)

Note[modifica]

  1. In Serventése nazionale ed altre poesie liriche di Fazio Degli Uberti, Tipografia di Giovanni Benelli, 1841, p. 62.
  2. Citato in Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, a cura di Giuseppe Galasso, Adelphi, Milano, 1990, p. 310. ISBN 978-88-459-1487-4

Bibliografia[modifica]

  • Fazio degli Uberti, Il Dittamondo, Per Giovanni Silvestri, Milano, 1826.
  • Fazio degli Uberti, Il Dittamondo e le Rime, Giuseppe Laterza e Figli, Bari, 1952.

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