Guerra d'indipendenza dell'Eritrea

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Memoriale in Massaua

Citazioni sulla guerra d'indipendenza dell'Eritrea.

Citazioni[modifica]

  • Da quando ho accettato la responsabilità di governare questa regione, mi sono rifiutato di vedere i nostri ragazzi massacrarsi fra di loro. Abbiamo migliorato l'amministrazione nell'Eritrea Occidentale e ci siamo impegnati a sostenere con decisione una politica che prevede misure per costruire un nuovo rapporto con le popolazioni, basato sulla mutua fiducia e nella certezza del nostro comune destino. È ormai giunto il tempo per un nuovo modo di affrontare l'intero problema dell'Eritrea. (Asrate Kassa)
  • Fino a quando ci potremo permettere di governare il nostro popolo con la canna del fucile? Fino a quando dovremo continuare a sacrificare le vite dei giovani etiopici nei burroni e nei deserti dell'Eritrea, braccati come animali da ribelli ben motivati? Come possiamo permettere la distruzione di una nazione soltanto perché, ad Addis Abeba, alcuni ministri si sono messi in testa che è necessario usare più forza in Eritrea? Ci sono uomini il cui principale interesse è quello di allargare la breccia fra i vari gruppi etnici dell'Etiopia per i loro egoistici obiettivi. (Asrate Kassa)
  • Gli etiopici hanno tanti di quei reggimenti, tante di quelle armate. Hanno aerei, carri, armi di tutti i tipi e centinaia di migliaia di soldati e la capacità di respingere, se vogliono, tutti gli attacchi dei guerriglieri eritrei. I sovietici però sembrano più tiepidi nel loro appoggio al regime di Menghistu. Proprio nei giorni scorsi ho parlato con il viceministro degli esteri russo. Lui mi ha detto che così non si può andare avanti, che bisogna mettere pace nel Corno d' Africa. Mi è sembrato un discorso assai significativo. Non so quante speranze abbiano i guerriglieri eritrei, anche se hanno fatto importanti conquiste. (Mohammed Siad Barre)
  • I secessionisti eritrei, che pretendevano di essere progressisti quando era al potere Hailé Selassié, ora che ha vinto la rivoluzione si sono dimostrati opportunisti reazionari e cospiratori. Sono contro il popolo, non con il popolo, reazionari, non progressisti, contro le masse, non con le masse. (Menghistu Hailè Mariàm)
  • Il colpo di Stato in Eritrea, meditato da Hailè Selassiè sin dal giorno in cui aveva ratificato ad Addis Abeba l'atto federale, era tanto più grave in quanto in palese contraddizione con la politica che egli aveva inaugurato, a partire dalla seconda metà degli anni '50, nei confronti del continente africano e dei paesi non allineati. In poco tempo si era conquistato una solida reputazione di «pelegrino della pace», predicando l'unità degli africani, la moderazione, la concordia, le virtù del negoziato, e condannando severamente l'impiego della forza come mezzo di risoluzione delle controversie e intervenendo più volte come abile, ostinato e fortunato mediatore. Ma questa volontà di conciliazione, che egli manifestava nei riguardi di tutti i problemi esterni all'Etiopia, evidentemente non doveva ritenerla valida per le questioni interne dell'interne dell'impero, se è vero che egli decideva di rispondere con la repressione alle richieste di autonomia prima degli eritrei e poi dei somali, degli oromo e dei sidamo. (Angelo Del Boca)
  • Il Mar Rosso è vitale per la economia etiopica e la costa eritrea sarà difesa ad ogni costo contro ogni tentativo di aggressione straniera. (Tafari Bante)
  • L'Eritrea è il più giovane stato africano, un piccolo stato di tre milioni di abitanti. Mai indipendente, l'Eritrea fu prima una colonia della Turchia, poi dell'Egitto e, nel XX secolo, successivamente dell'Italia, dell'Inghilterra e dell'Etiopia. Nel 1962 quest'ultima, che già da dieci anni occupava militarmente l'Eritrea, la dichiarò sua provincia. Gli eritrei risposero con una guerra di liberazione, la più lunga nella storia del continente, in quanto durata trent'anni. Quando ad Addis Abeba regnava Hailè Selassiè, gli americani l'aiutarono a combattere gli eritrei. Ma quando Menghistu rovesciò l'imperatore, assumendo personalmente il potere, ad aiutarlo furono i russi. (Ryszard Kapuściński)
  • L'indipendenza è una chimera per l'Eritrea. Sarebbe una catastrofe per tutte le parti coinvolte: eritrei, etiopi e i popoli di paesi confinanti. Un'Eritrea indipendente non potrebbe essere autosufficiente, particolarmente se, come sembrerebbe inevitabile, fosse isolata dalla sua madrepatria etiope. Diventerebbe una pedina nelle mani di qualunque potenza o potenze straniere disposte a fornirla d'armi e denaro. Non conoscerebbe mai la pace, perché nessun governo etiope di qualsiasi orientamento politico accetterebbe la sua indipendenza. (David A. Korn)
  • Le forze etiopi impiegavano comunemente il napalm. Per salvarsi, gli eritrei cominciarono a scavare rifugi, corridoi e nascondigli mometizzati. Nel corso degli anni costruirono un secondo stato sotterraneo, nel senso letterale del termine: un'Eritrea nascosta e segreta, inaccessibile agli estranei, che potevano percorrere in lungo e in largo senza essere visti dal nemico. La guerra eritrea non fu, come gli eritrei stessi sottolineano con orgoglio, una bush war, l'uragano banditesco e sterminatore dei warlords. Nel loro stato sotterraneo avevano scuole e ospedali, tribunali e orfanotrofi, officine e fabbriche di armi. In quel paese di analfabeti, ogni combattente doveva saper leggere e scrivere. (Ryszard Kapuściński)
  • Le origini immediate dell'insurrezione eritrea risalgono ai 50 anni di colonizzazione italiana, dall'ultimo decennio del diciannovesimo secolo fino alla sconfitta delle forze italiane per mano dei britannici nel 1941. Il regime coloniale italiano fu spesso duro e le leggi italiane stabilirono standard di discriminazione razziale che i fautori dell'apartheid potrebbero solo ammirare. Ciononostante, gli eritrei beneficiarono dell'industria, del commercio e del livello generale di sviluppo culturale che l'Italia portò nel loro paese. I frutti della colonizzazione italiana fecero sì che gli eritrei si ritenessero superiori ai loro cugini in Etiopia e, particolarmente fra i musulmani, rinforzarono le già esistenti propensioni separatiste. Di fatto, però, gli eritrei hanno molto poco in comune. L'Eritrea non ha nessuna delle caratteristiche che normalmente sono alla base di una rivendicazione all'autodeterminazione; la sua popolazione non ha alcuna religione comune, alcuna lingua comune o alcuna origine etnica comune. È divisa piuttosto equamente tra cristiani e musulmani. (David A. Korn)
  • Lei sa che l'imperatore ha manovrato in modo da indebolire l'Eritrea. Ha costretto la Fiat a fare un impianto presso Addis Abeba, invece che presso Asmara. Così migliaia di italiani e di eritrei sono stati costretti ad emigrare nella capitale. Questo non è giusto. Ma neanche il secessionismo è giusto. Se l'Eritrea ottenesse l'indipendenza, allora tutti gli altri popoli e tribù, galla, dankali, somali, guraghe, potrebbero pretendere la stessa cosa, e l'Etiopia si sfascerebbe. (Sahle Sellassie)
  • Non c'è nulla di nuovo e allarmante nella reintegrazione dell'Eritrea alla sua madre terra; con il passare del tempo, un confine territoriale artificialmente eretto dalla mano dell'uomo è stato rotto dalla mano Onnipotente di Dio. (Haile Selassie)
  • Quelli che non l'hanno mai provato potranno anche fantasticare sulla guerra. Noi ci siamo stati per tanti decenni, quasi due generazioni. (Isaias Afewerki)
  • Sono contro l'indipendenza dell'Eritrea. L'Eritrea è stata la culla della nostra civiltà comune. Ed ha sempre fatto parte, storicamente, della Etiopia, tranne che nel periodo coloniale. (Sahle Sellassie)

Mimmo Càndito[modifica]

  • Fa un caldo soffocante, siamo a duemila metri e sotto il sole ci sono più di 40 gradi. A Sud, verso le terre basse che finiscono dentro il mare e poi verso l'Asmara, il paesaggio si fa morbido, ci sono orti, giardini, papaie, pomodori, un profumo dolce di cipolle: qui è solo montagna e deserto. Non c'è una goccia d'acqua, non una pianta a parte qualche arbusto spinoso e poche acacie bruciate dal sole. Ma per gli eritrei questa è la loro patria, non ne hanno un'altra; e da 26 anni lottano e muoiono per riconquistarla.
  • Sono entrato, clandestino, in Eritrea per venire a raccontare la più lunga guerra d'Africa. Dura da 26 anni, ma nessuno se ne ricorda. Sono al fronte, ma il fronte non è una linea diritta, né una trincea continua o un pezzo rigido di terreno. Il fronte è un'idea frammentata, un'avventura possibile, un angolo di montagna dove ti nascondi e speri che quel carico di tritolo che apre squarci fin nelle viscere della terra non ti si sfrucelli addosso.
  • Tutto cominciò quando l'Etiopia, nel '62, tradì le decisioni dell'Onu e si prese questa regione che le era stata assegnata soltanto con un regime di federazione. Fu un atto brutale di colonialismo, una sopraffazione che il mondo subì senza troppi scandali, fingendo che il formalismo delle leggi internazionali fosse stato rispettato: Hailé Selassié aveva saputo giocar bene l'autorevolezza del proprio prestigio africano, e le troppe memorie colpevoli che l'Europa ancora si trascinava dietro dai tempi dell'impresa italiana e poi dalla seconda guerra mondiale. Sono passate via estati ed inverni, i bimbi di allora sono cresciuti e si sono fatti uomini, il tempo ha cancellato anche il Negus, ma l'annessione non è mai riuscita, e la resistenza, disperata, ostinata, degli eritrei continua a vincere anche gli Antonov, i Mig, i quattro miliardi di dollari in armamenti che l'Urss ha voluto prestare al socialismo imperiale del colonnello Mariam Hailé Menghistu.

Ferdinando Vegas[modifica]

  • Gli eritrei sono scesi in campo sin dal 1961, quando ancora sull'Etiopia regnava Hailé Selassié, hanno sperato che la caduta della monarchia, con la rivoluzione del 1974, ponesse fine alla politica accentratrice di Addis Abeba, ma sono stati subito delusi.
    Il regime rivoluzionario, infatti, si è rivelato erede di quello imperiale, mantenendo anzi accentuando la repressione, sicché il conflitto si è inasprito. [...] Si è così giunti alla situazione paradossale che un movimento marxista lotta contro un regime professamente marxista, quasi a dimostrazione che il movente nazionale è più forte di quello ideologico.
  • L'Eritrea fu dotata di un parlamento e di un governo autonomi; l'arabo e il tigrino furono riconosciuti come lingue ufficiali, ma Addis Abeba dimostrò subito la volontà di integrarla nell'impero, come avvenne nel '62, con l'eliminazione completa di ogni forma di autonomia. La rivolta degli eritrei rientra dunque, per il suo aspetto fondamentale, nel novero dei conflitti etnico-religiosi che affliggono diversi paesi africani di recente indipendenza. Però erra si inserisce anche in un contesto internazionale, quello dello scontro di movimenti rivoluzionari e regimi conservatori.
  • Minacciati di perdere la propria identità, diversa da quella pure affine degli amhara (il gruppo dominante in Etiopia), con una loro storia particolare sotto il dominio italiano, gli eritrei dunque insorsero: per l'indipendenza o almeno il ritorno all'autonomia ed insieme come avanguardia dell'intera rivoluzione etiopica contro il regime feudale ed oppressivo del Negus.
    Quando però questo regime fu rovesciato, gli eritrei non ne trassero alcun vantaggio: i nuovi governanti di Addis Abeba, ferocemente nazionalisti, al contrario inasprirono la lotta per stroncare l'insurrezione eritrea.
  • Pur appartenendo allo stesso ceppo etnico, la maggioranza degli eritrei è composta di tigrini, mentre il gruppo dominante in Etiopia è quello degli amhara; è risaputo che il filo conduttore della storia etiopica, dal secolo scorso, consiste nel tentativo degli amhara di unificare e sottomettere il territorio che oggi forma l'Etiopia, suscitando la resistenza degli altri popoli, non solo degli eritrei. Questi, inoltre, non professano tutti la religione riconosciuta ufficialmente fondamentale in Etiopia, la cristiano-copta; una parte del milione e mezzo di eritrei stimata tra il 40 e il 50 per cento, quelli che abitano la parte occidentale della regione, è di religione musulmana. Infine gli eritrei, essendo stati prima a lungo sotto il dominio coloniale italiano, e poi per un decennio sotto l'amministrazione inglese, hanno ricevuto apporti culturali più vari che non gli etiopici.

Voci correlate[modifica]

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