Massimo Recalcati

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Massimo Recalcati (1959 – vivente), psicoanalista italiano.

Citazioni di Massimo Recalcati[modifica]

  • [...] cosa significa davvero diventare genitori? Lo si diventa biologicamente o quando si riconosce con un gesto simbolico il proprio figlio assumendosi nei suoi confronti una responsabilità illimitata? Le due cose non si escludono ovviamente, ma senza quel gesto la generazione biologica non è un evento sufficiente a fondare la genitorialità. [...] Generare un figlio non significa già essere madri o padri. Ci vuole sempre un supplemento ultra- biologico, estraneo alla natura, un atto simbolico, una decisione, un'assunzione etica di responsabilità. Un padre e una madre biologica possono generare figli disinteressandosi completamente del loro destino. Meritano davvero di essere definiti padri e madri? E quanti genitori adottivi hanno invece realizzato pienamente il senso dell'essere padre e dell'essere madre pur non avendo alcuna relazione biologico-naturale coi loro figli?[1]
  • Di cosa è fatta e da dove viene la vita di un uomo? Sembrano queste le domande sottotraccia dell’ultimo libro di Marco Belpoliti titolato Pianura e appena pubblicato da Einaudi. Sappiamo rispondere: la vita di un uomo è fatta innanzitutto dalla sua provenienza, dai timbri delle sue origini che non sono solo quelli familiari, ma anche quelli storici, sociali, culturali, geografici. Ogni biografia si radica in una terra. In gioco in questo libro è il farsi di una vita nel farsi della sua memoria.[2]
  • Il desiderio del fascismo è un desiderio – come direbbe Umberto Eco – , "eterno" perché esprime una tendenza propria della realtà umana: disfarsi dell'inquietudine della libertà, preferire la consistenza delle catene e della dittatura rispetto all'aleatorietà della vita, cercare rifugio nella cementificazione della propria identità piuttosto che rischiare l'apertura e la contaminazione. L'inconscio delle masse contemporanee – per quanto private di ogni involucro ideologico e tendenzialmente polverizzate – , sospinge nella stessa direzione verso la quale si era incamminato il fantasma nero del totalitarismo: si invoca la mano pesante, la militarizzazione dei territori, l'irrigidimento dei confini, la repressione, l'esclusione etnica, il respingimento dell'invasore. Le Destre reazionarie in Europa e nel mondo cavalcano l'onda emotiva dell'emergenza. Il miraggio del muro promesso da Trump diviene così il simbolo di un desiderio rinnovato di fascismo.[3]
  • Il nostro tempo segnala una crisi senza precedenti del discorso educativo. Le famiglie appaiono come turaccioli sulle onde di una società che ha smarrito il significato virtuoso e paziente della formazione rimpiazzandolo con l'illusione di carriere prive di sacrificio, rapide e, soprattutto, economicamente gratificanti. Come può una famiglia dare senso alla rinuncia se tutto fuori dai suoi confini sospinge verso il rifiuto di ogni forma di rinuncia? Per questa ragione di fondo la Scuola viene invocata dalle famiglie come un'istituzione "paterna" che può separare i nostri figli dall'ipnosi telematica o televisiva in cui sono immersi, dal torpore di un godimento "incestuoso", per risvegliarli al mondo. Ma anche come una istituzione capace di preservare l'importanza dei libri come oggetti irriducibili alle merci, come oggetti capaci di fare esistere nuovi mondi.[4]
  • La psicoanalisi non è un’alternativa al cristianesimo, né tanto meno si pone in conflitto rispetto al cammino di liberazione di cui il Vangelo dà testimonianza. Pensiamo a quello che Lacan afferma a proposito del Padre, sottolineando come il suo compito consista nell’“unire e non opporre il desiderio alla Legge”. Espresso in un altro linguaggio, è ancora il tema evangelico del compimento della Legge a imporsi, in una dimensione di donazione e non di sacrificio. “Unire e non opporre”, del resto, mi sembra un mandato particolarmente urgente in questo nostro tempo. Anche per quanto riguarda i rapporti fra cristianesimo e psicoanalisi vale l’invito di papa Francesco a costruire ponti anziché muri.[5]
  • La psicoanalisi già nell'epoca dei totalitarismi novecenteschi aveva isolato con precisione il nesso che unisce lo smarrimento di un popolo alla ricerca autoritaria di un padrone. Basti ricordare, tra tutte, la celebre analisi di Reich sulla psicologia delle masse del fascismo: il problema - dichiarava - non è perché le masse abbiano sopportato senza reagire l'oppressione della dittatura fascista, ma perché abbiano potuto desiderare il fascismo![6]
  • Ludwig Wittgenstein ricordava giustamente che i confini del mio linguaggio determinano i confini del mio mondo. Il che significa che tanto più si arricchisce il mio linguaggio, tanto più aumenta la mia possibilità di fare esperienza del mondo.[7]
  • Non è un caso che le due parole d'ordine del fascismo della prima ora, ovvero la necessità di assicurare la protezione dei cittadini e la ribellione contro il sistema, siano divenuti i capisaldi ideologici dei due movimenti politici [Lega Nord e Movimento 5 Stelle] che nel nostro Paese incarnano la regressione populista. Da un lato la capitalizzazione del rancore generata dal sentimento di abbandono e di insicurezza vissuto dalle classi più povere, dall'altro l'aggressione alle istituzioni democratiche vissute come parassitarie ed avariate. Da una parte i fautori del muro e della segregazione, dell'universo indigeno, fatto di terra, sangue, confini rigidi e colore della pelle, e dall'altra, i mistici dell'uno vale uno che trasformano "l'incompetenza anonima del singolo in virtù del popolo", che inneggiano all'ignoranza come se fosse la prova suprema di innocenza e verginità ideale.[6]

Contro il sacrificio[modifica]

  • È questo il punto di massima convergenza – almeno per i miei piccoli occhi mortali – tra la parola di Gesù e quella della psicoanalisi: rifondare la Legge non contro il desiderio ma la Legge del desiderio sottratta a ogni fantasma sacrificale. Il che significa innanzitutto – contro ogni fanatismo della Causa che riduce l'esistenza umana a un mezzo insignificante per l'affermazione dell'assoluta Verità della Legge – porre la singolarità dell'esistenza – per riprendere sempre le parole di Nancy – come assolutamente "insacrificabile". (p. 17)
  • Quando la vita rinuncia alla sua potenza generativa diviene solo vita animata da uno spirito sterile di vendetta. L'albero che, secondo la parola di Gesù, si deve giudicare solo dai suoi frutti e non dalla sua essenza, viene spogliato di ogni forza generativa mostrandosi, appunto, sterile, rinsecchito e privo di vita. È questo che scatena, del resto, l'ira di Gesù: il peccato più grande è il venir meno al proprio talento, alla forza affermativa della vita. (p. 55)
  • L'uomo del sacrificio si dispone all'interiorizzazione piuttosto che all'espressione della sua forza. La vita interiore prende il posto della vita: ruminazione incessante, abnegazione, autocolpevolizzazione, risentimento, sacrificio di sé. È la crudeltà specifica dell'uomo ascetico: immolare se stesso nel nome dell'Ideale di una vita senza desideri. (p. 56)

I tabù del mondo[modifica]

  • Dovremmo allora rivalutare il tabù se in esso si conserva qualcosa dell'esperienza dell'inviolabile, del sacro, dell'impossibile? Si tratta anzitutto di provare a distinguere due versioni del tabù. Da una parte la sua forma semplicemente ideologico-superstiziosa; il tabù come luogo di restringimento e oppressione della vita. Dall'altra una forma del tabù come ammonimento e indice simbolico – memoria della Legge della parola -, segno che la vita non ci appartiene mai come una semplice presenza di cui siamo proprietari, ma è qualcosa che porta con sé la cifra – trascendente e impossibile da svelare – del mistero. (p. VII)
  • La psicoanalisi si occupa di vite che sono il rovescio di quelle che sponsorizzano il mito del principio di prestazione: vite lacerate che hanno fatto esperienza dello scacco, dell’impaludamento, dello sbandamento; vite bloccate, smarrite, imprigionate. Insomma, cause perse. È di queste che si occupa la psicoanalisi offrendo loro la possibilità di ripartire, di ricominciare. (p. 141)
  • Freud non pensava alla morte come un abisso da vincere, ma come condizione della vita. È il trascorrere del tempo, il suo divenire inesorabile a farci apprezzare i dettagli apparentemente più insignificanti della vita. Il corrompersi delle cose, anziché generare disperazione, introduce a una esperienza della bellezza non disgiunta da quella della caducità: «Nel corso della nostra esistenza, vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma questa breve durata aggiunge a tali attrattive un nuovo incanto. Se un fiore fiorisce una sola notte, non perciò la sua fioritura appare meno splendida. (p. 145)

Il complesso di Telemaco[modifica]

  • Emanciparsi davvero dal padre non significa rigettarne l'esistenza. Per fare a meno del padre [...] bisogna sapersene servire. Il rifiuto del padre in quanto tale incatena per sempre al padre; l'odio non libera, ma vincola per l'eternità, genera solo mostri, ostruisce il dispiegamento della vita. (p. 56)
  • Il grillismo sbandiera una forma di partecipazione diretta del cittadino che rifiuta ogni genere di mediazione e che di conseguenza giudica, come un ferro vecchio della democrazia, la funzione sociale dei partiti. I segni di discordie che attraversano questo movimento non annunciano però niente di buono. È un film che abbiamo già visto. È una legge storica e psichica, collettiva e individuale insieme: chi si pone al di fuori del sistema del confronto politico e dell'esercizio della mediazione simbolica che la democrazia impone, finisce per generare lo stesso mostro che giustamente combatte. (p. 67)
  • Non va dimenticato che ogni azione educativa – anche quella più giusta e amorevole – non può mai pretendere di salvare la vita dei propri figli dall'incontro con il reale senza senso dell'esistenza, dalla sua contingenza illimitata, dalla sua ingovernabilità assoluta. Cosa vuol dire? Vuol dire che possiamo arare il campo, gettarvi la semente più buona, riparare i primi germogli dalle asperità del tempo cattivo, curarne le malattie, non fare mancare il giusto apporto di luce e acqua, ma tutto questo, e altro ancora che potremmo fare, non potrà mai assicurarci la qualità del risultato che otterremo. Possiamo contribuire a preparare un campo fertile, ma nulla ci garantirà dell'effettiva realizzazione di questa fertilità. La vita è esposta senza protezione al rischio irreparabile della contingenza. (pp. 109-110)
  • L'eredità non è l'appropriazione di una rendita, ma è una riconquista sempre in corso. Ereditare coincide allora con l'esistere stesso, con la soggettivazione, mai compiuta una volta per tutte, della nostra esistenza. (p. 123)
  • Il movimento dell'ereditare si situa sul bordo tra la memoria e l'oblio, tra la fedeltà e il tradimento, tra l'appartenenza e l'erranza, tra la filiazione e la separazione. Non l'uno contro l'altro, ma l'uno nell'altro, l'uno avvitato nel legno duro dell'altro. (p. 130)

Il segreto del figlio[modifica]

  • L'amore non è empatico, non si fonda sulla comprensione reciproca, sulla condivisione, ma è rispetto per il segreto assoluto dell'Altro, della sua solitudine; l'amore si fonda sulla lontananza della differenza, sull'incondivisibile, sul reale inassimilabile del Due. (p. 20)
  • Ma quanto destino c'è in un nome proprio? Non è forse questo nome la prima parola oracolo dell'Altro? Il nome proprio non è sempre il nome di un Altro? Una scheggia di destino condensato in un significante? L'Altro plasma il nostro essere, lo forgia, lo identifica, lo tratteggia, lo caratterizza, lo fabbrica con il potere della sua parola. Tutti noi siamo fatti, come Edipo mostra al colmo della tragedia, delle parole degli altri. Resi amabili o menomati, superflui o essenziali, feriti o salvati, incensati o maledetti dalle parole dell'Altro. (p. 35)
  • Dipingere d'oro le fratture del vaso significa fare in modo che la memoria dell'offesa non sia semplicemente cancellata – dimenticata -, ma possa segnare un nuovo inizio [...] In gioco non c'è un semplice restauro – far esistere il vaso come era prima della sua rottura – ma una vera e propria conversione, l'apparizione di una nuova forma. La stessa in causa nel perdono: si tratta di trasformare le cicatrici in poesia. La cicatrice non è, infatti, solo la memoria di quanto già è avvenuto, ma diventa un nuovo possibile inizio, una nuova lingua, una lingua altra. Al centro del gesto del perdono è infatti la possibilità del ritrovamento come ricominciamento, ripartenza, resurrezione della vita che pareva morta. (p. 112)

L'ora di lezione[modifica]

  • Le parole sono vive, entrano nel corpo, bucano la pancia: possono essere pietre o bolle di sapone, foglie miracolose. Possono fare innamorare o ferire. Le parole non sono solo mezzi per comunicare, le parole non sono solo il veicolo dell'informazione, come la pedagogia cognitivizzata del nostro tempo vorrebbe farci credere, ma sono corpo, carne, vita, desiderio. Noi non usiamo semplicemente le parole, ma siamo fatti di parole, viviamo e respiriamo nelle parole. (p. 90)
  • La Scuola apre mondi. La sua funzione resta quella di aprire mondi. Non è solo il luogo istituzionale dove si ricicla il sapere dello Stesso, ma è anche potere dell'incontro che trasporta, muove, anima, risveglia il desiderio. (p. 93)
  • Gli insegnanti che non abbiamo dimenticato e di cui ricordiamo bene i nomi, i volti, il timbro della voce, la figura, coi quali abbiamo una relazione di debito e di riconoscenza, sono quelli che ci hanno insegnato innanzitutto che non si può sapere senza amore per il sapere, che il sapere raggiunto senza desiderio è sapere morto, sapere separato dalla verità, sapere falso. (p. 104)

La pratica del colloquio clinico[modifica]

  • Il solo senso di colpa che vale in psicoanalisi – afferma (Lacan) nel Seminario VII – è quello di cedere sul proprio desiderio. Il male peggiore o, se si preferisce, l’unica vera versione del male in psicoanalisi è la rinuncia al nostro desiderio. La sofferenza nevrotica è data dal fatto che il soggetto non si impegna a realizzare il proprio desiderio, ma quello degli altri, sacrificandosi al loro altare. (p. 42)
  • Scrive Lacan: "Il silenzio dell'analista non è un semplice tacere, perché esso interviene laddove il paziente si attende una risposta". Il silenzio non è mutismo, ma accade al posto di una risposta attesa [...] Non diamo al paziente ciò che il paziente ci chiede. Non ci precipitiamo a soddisfare immediatamente la sua domanda immaginaria, non diamo risposte, ma presentifichiamo l'enigma. Per questo Lacan può affermare che il compito primo della funzione dello psicoanalista è quello di "custodire il silenzio". (p. 80)
  • Possiamo calibrare la tariffa in base a diversi elementi. Il primo è un elemento etico: tutti, se lo vogliono davvero, devono poter fare un'analisi. La prima porta deve, cioè, essere sempre aperta. Per esempio un ragazzo che paga i propri studi lavorando di sera non pagherà la stessa cifra di un professionista. È un criterio di differenza sociale che lo psicoanalista non può non considerare. Egli non definisce a priori il costo della sua prestazione, come accade per un qualunque professionista. Per un avvocato, per esempio, o per un gastroenterologo. Per un analista la tariffa varia come varia la direzione della cura. (p. 81)

Le mani della madre[modifica]

  • La nascita di un figlio non è solo la venuta al mondo di qualcuno di cui attendevamo di vedere il volto, di qualcuno che attendevamo di accogliere fra le nostre braccia. Insieme alla vita del figlio viene nuovamente alla vita anche il mondo. L'attesa della madre apre alla possibilità della venuta alla luce di un altro mondo che trova la sua espressione incarnata nella vita nuova del figlio. In questo senso il dono della vita è un dono che fa ricominciare il mondo. (p. 31)
  • È il dono più grande che possano fare un padre e una madre: donare la libertà, saper lasciare andare i propri figli, sacrificare ogni proprietà su di loro. Nel tempo in cui la vita cresce e vuole essere libera al di là dei confini angusti della famiglia, il compito di una madre e di un padre è lasciar andare i propri figli, saperli perdere, riuscire ad abbandonarli. È questo ai miei occhi il nucleo più profondo della scena del sacrificio di Isacco: il figlio più amato, il più atteso, il più voluto, il figlio della promessa, deve essere lasciato andare, non è la sua vita che deve essere sacrificata, ma la sua proprietà. (p. 82)
  • Bisognerebbe essere giusti con le madri e riconoscere loro la funzione essenziale e insostituibile nell'adozione simbolica della vita. Bisognerebbe sottrarre la maternità a ogni sua rappresentazione naturalistica: madre non è il nome della genitrice, ma, al di là della Natura, al di là del sesso e della stirpe, è il nome di quell'Altro che offre le proprie mani alla vita che viene al mondo, che risponde alla sua invocazione, che la sostiene con il proprio desiderio [...] Bisognerebbe provare a essere giusti con la madre e riconoscere nelle sue mani un'ospitalità senza proprietà di cui la vita umana necessita. Bisognerebbe rintracciare nel suo dono del respiro la possibilità che la vita abbia un inizio e che possa ogni volta ricominciare. (pp. 183-184)

A libro aperto[modifica]

  • Il libro è un coltello, è un corpo, è un mare. Perché un coltello? In un epoca che rischia di considerare il libro come un oggetto in via d'estinzione, come un'ombra del passato, non dovremmo mai dimenticare che la lettura di un libro può avere la natura dell'incontro. Sicché ogni libro che si è rivelato tale ha avuto l'aspetto di un coltello. Un libro è un coltello perché taglia la nostra vita offrendole la possibilità di acquisire una forma nuova, perché distingue la nostra vita come era prima della lettura da come è diventata dopo. Al punto che si potrebbe dire che una vita è sempre formata dai suoi libri. Il libro è un coltello che taglia la nostra vita e non il burro nel quale la lama della lettura sprofonderebbe senza incontrare resistenze. Nella lettura il padrone del libro non è il lettore. Il libro è il coltello e noi, lettore, casomai, siamo il burro. Leggere significa, infatti, incontrare nel libro qualcosa che taglia non qualcosa da tagliare. Massimo Recalcati, A libro aperto, Una vita e i suoi libri, pagina 15/16 Feltrinelli.

Anoressia, Bulimia, Obesità[modifica]

  • In fondo siamo tutti obesi, tutte riempiti sino a soffocare dalla girandola di oggetti che l'Altro del mercato ci mette continuamente a disposizione; tutti presi da troppo godimento e immersi in uno spazio saturo di cose che preclude la mancanza come sorgente del desiderio e della creazione. Massimo Recalcati e Umberto Zuccardi Merli,Anoressia Bulimia e Obesità pagina 7. Bollati Boringhieri.
  • L'assenza di orizzonti ideali e di esempi capaci di trascinare i giovani verso mete elevate lascia il campo aperto al dilagare di un materialismo coatto, dove le esigenze creative vengono saturate dall'offerta continua di merci. Il troppo, in effetti, uccide la mancanza, che è, come si è già detto, la condizione alla base della creatività. Massimo Recalcati e Umberto Zuccardi Merli, Anoressia Bulimia e Obesità pagina 43. Bollati Boringhieri
  • Non esistono cuscinetti tra gli adolescenti e il mercato; essi sono esposti senza protezione, perché gli adulti stessi sono impegnati nella febbrile ricerca di non perdere il passo, il lavoro, la dignità di cui ogni vita ha bisogno... Il mercato spinge al consumo frenetico e gli adolescenti più di altri si lasciano trascinare in questo gorgo; la società scollega le persone dal loro desiderio e le spinge alla massificazione dei gusti, dei corpi, dei canoni estetici, delle marche... Gli adolescenti ne rimangono catturati. Massimo Recalcati e Umberto Zuccardi Merli Anoressia, Bulimia e Obesità pagina 44.

Citazioni su Massimo Recalcati[modifica]

  • Recalcati ricostruisce in tutte le sue pieghe lo sviluppo, tutt’altro che lineare, di un pensiero, come quello di Lacan, costituito nel punto di confluenza e di tensione tra esistenzialismo e strutturalismo, capace di assorbire, traducendoli in un impasto originalissimo, gli influssi di Hegel e Heidegger, di Sartre e Kojève, di Saussurre e Jakobson – per non parlare di Freud, restato fino all’ultimo il suo interlocutore privilegiato. (Roberto Esposito)

Note[modifica]

  1. Da Si fa presto a dire famiglia, la Repubblica, 1° maggio 2016.
  2. Da La Pianura teatro dell’anima, la Repubblica, 28 gennaio 2021, p. 29.
  3. Da L'immortale desiderio di fascismo, Rep.repubblica.it, 28 febbraio 2018.
  4. Da Lettera a un Professore, la Repubblica, 29 aprile 2011.
  5. Dall'intervista di Alessandro Zaccuri, Lo psicoanalista Recalcati: oltre la logica del sacrificio, Avvenire, 3 dicembre 2017.
  6. a b Da La democrazia ferita dalla paura dell’uomo nero, Rep.repubblica.it, 10 ottobre 2018.
  7. Da La scuola insegni quanta vita c'è nei libri, Rep.repubblica.it, 9 settembre 2018.

Bibliografia[modifica]

  • Massimo Recalcati, Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale, Raffaello Cortina, Milano 2017. ISBN 978-88-6030-968-6
  • Massimo Recalcati, I tabù del mondo, Einaudi, Torino, 2017. ISBN 978-88-584-2650-0
  • Massimo Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano, 2013. ISBN 978-88-07-17255-7
  • Massimo Recalcati, L'ora di lezione. Per un'erotica dell'insegnamento, Einaudi, Torino, 2014. ISBN 978-88-06-21489-0
  • Massimo Recalcati, La pratica del colloquio clinico. Una prospettiva lacaniana, Raffaello Cortina, Milano 2017. ISBN 9788860309129
  • Massimo Recalcati, Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, Feltrinelli, Milano, 2015. ISBN 978-88-07-17290-8

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