Pietro Colletta

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Pietro Colletta

Pietro Colletta (1775 – 1831), patriota, storico e generale italiano.

Storia del reame di Napoli[modifica]

Incipit[modifica]

Il fiume Tronto, il Liri, il piccolo fiume di S. Magno presso Portella, i monti Appennini dove nascono le fonti di que' fiumi, i liti del Mediterraneo, correndo i tre mari Tirreno, Ionio, Adriatico, dallo sbocco del lago di Fondi alla foce del Tronto, confinano le terre che nell'XI secolo ubbidivano all'Impero greco ed alle signorie longobarde di Capua, di Salerno e di Benevento. Tanti separati domìni la virtù del normanno Roberto Guiscardo tramandò al nipote Ruggiero, già fattosi re della Sicilia, da lui conquistata sopra i Saraceni ed i Greci (1130). Passò il regno a Guglielmo il malo, a Guglielmo il buono, a Tancredi, e fugacemente a Guglielmo III. Quando il secondo Guglielmo perdé speranza di figli, maritò la principessa Costanza (sola che restava del sangue di Ruggiero) all'imperatore Enrico, della casa sveva; il quale succedé, morto Tancredi, nella corona della Sicilia e della Puglia.

Citazioni[modifica]

  • In dieci anni, dal 1720 al 30, non avvennero in Napoli cose memorabili, fuorché tremuoti, eruzioni volcaniche, diluvi ed altre meteore distruggitrici. Ma nella vicina Sicilia, l'anno 1724, fatto atroce apportò tanto spavento al Regno, che io credo mio debito il narrarlo a fine che resti saldo nella memoria di chi leggerà; e i Napoletani si confermino nell'odio giusto alla inquisizione; oggidì che per l'alleanza dell'imperio assoluto al sacerdozio, la superstizione, l'ipocrisia, la falsa venerazione dell'antichità spingono verso tempi e costumi abborriti, e vedesi quel tremendo Uffizio, chiamato Santo, risorgere in non pochi luoghi d'Italia, tacito ancora e discreto, ma per tornare, se fortuna lo aiuta, sanguinario e crudele quanto né tristi secoli di universale ignoranza. (p. 10)
  • Mentre in Sicilia si guerreggiava, cadde la fortezza di Capua. Gli Spagnuoli sempre minacciando assediarla, stringevano solamente il blocco; certi che presto mancherebbero le vettovaglie al numeroso presidio. (p. 23)
  • I difetti che ho toccato, e che in più opportuno luogo descriverò, cagionarono che i delitti, nel regno di Carlo, fossero molti ed atroci: nella sola città di Napoli numerava il censo giudiziario trentamila ladri; gli omicidii, le scorrerie, i furti violenti abbandonavano nelle province, gli avvelenamenti nella città, tanto che il re creò un magistrato, la «Giunta de' Veleni», per discoprirli e punirli. Prevalevano in quel delitto le donne, bastandovi la malvagità de' deboli, come piace alla nequizia de' forti l'atrocità scoperta. (p. 26)
  • Quinta legge ed ultima di quel giorno prescrisse lo annullamento de' Sedili e de' loro antichi diritti o privilegi; per lo che, a far conoscere la gravità di quelle perdite, io rammenterò per cenni rapidissimi l'origine e l'ingrandimento di quelle congreghe. Napoli, quando città greca, aveva i portici, dove per allegro vivere si adunavano gli uomini sciolti di cure, i ricchi, i nobili, gli addetti alla milizia: portici, che in appresso chiamati anche «seggi», «sedili» o «piazze», erano luoghi aperti, e nessuna ordinanza impediva lo andarvi; ma i riservati costumi di quel tempo, differenti dagli arditi di oggidì, e la mancanza del Terzo stato, lasciando immenso spazio tra 'l primo e l'infimo, nessun popolano aspirava al conversar di quei seggi. (p. 163)
  • Non mai società è stata sconvolta quanto la napoletana ai primi del XIX secolo: il potere del re illimitato, ma senza scopo, nemmeno quello della tirannide, perché gliene mancava la forzo; i sapienti avviliti e senza speranza, nemmeno nella servitù, perché disadatti all'obbedienza e non creduti; il ceto dei nobili disordinato, infermo, non spento, tal che non era nobiltà, né popolo; la fazione del 99 contumace alle leggi, rapace, potentissima al distruggere, al creare impotente. Era perciò impossibile riordinare lo Stato con le proprie forze de' propri elementi; bisognava nuovo re, nuovo regno, ed avvenimento che per la sua grandezza sopisse le domestiche brighe e desse scopo comune alle opere ed alle speranze. (p. 209)
  • Aveva Napoli antichi trattati di commercio con la Inghilterra, la Francia, ed antiche pratiche colla Spagna; queste non avevano data; quelli colla Gran Bretagna erano due di Madrid del 1667 e 1715, e tre di Utrecht del 1712 e 13; e colla Francia, uno di Madrid del 1669, altro de' Pirenei del 1688. Napoli concedeva innumerabili benefizi alle tre bandiere, senza premi o mercede, come servitù a signoria. Per trattati novelli, del 25 settembre 1816 colla Inghilterra, del 26 febbraio 1817 colla Francia, e del 15 agosto dello stesso anno colla Spagna furono abolti gli antichi, e si diede al commercio delle tre nazioni il ribasso del decimo de' dazi che si pagano dagli altri legni, stranieri o napoletani; perciò, le mercanzie di qualunque luogo venendo a noi colle favorite bandiere, gran parte del commercio di trasporto e quanto di utilità e di forza ne deriva, ci fu rapito. (p. 334)
  • Nella restaurazione de' vecchi governi, l'anno 1815, Napoli, sola della Italia, conservò codici, leggi, ordinanze francesi; non che l'antico re Ferdinando Borbone avesse rispetto al miglior governo dello Stato, ma perché temeva il disdegno del popolo. (p. 408)
  • Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio. Il generale Manhès, a ciò eletto, passò il seguente ottobre in apparecchi, aspettando che le campagne s'impoverissero di frutta e foglie, aiuti a' briganti per alimentarsi e nascondersi; e dipoi palesò i suoi disegni. Pubblicate in ogni comune le liste de' banditi, imporre a' cittadini di ucciderli o imprigionarli; armare e muovere tutti gli uomini atti alle armi; punire di morte ogni corrispondenza co' briganti, non perdonata tra moglie e marito, tra madre e figlio; armare gli stessi pacifici genitori contro i figli briganti, i fratelli contro i fratelli; trasportare le gregge in certi guardati luoghi; impedire i lavori della campagna, o permetterli col divieto di portar cibo; stanziare gendarmi e soldati ne' paesi, non a perseguire i briganti, a vigilare severamente sopra i cittadini. Nelle vaste Calabrie, da Rotonda a Reggio, cominciò simultanea ed universale la caccia al brigantaggio.
    Erano quelle ordinanze tanto severe che parevano dettate a spavento; ma indi a poco, per fatti o visti o divulgati dalla fama e dal generale istesso, la incredulità disparve. Undici della città di Stilo, donne e fanciulli (poiché i giovani robusti stavano in armi perseguitando i briganti), recandosi per raccorre ulivi ad un podere lontano, portavano ciascuno in tasca poco pane, onde mangiare a mezzo del giorno e ristorare le forze alla fatica. Incontrati da' vigilatori gendarmi, dei quali era capo il tenente Gambacorta (ne serbi il nome la istoria), furono trattenuti, ricercati sulla persona, e poiché provvisti di quel poco cibo, nel luogo intesso, tutti gli undici uccisi. Non riferirò ciò che di miserevole disse e fece una delle prese donne per la speranza, che tornò vana, di salvare, non sé stessa, ma un figliuolo di dodici anni. [...]
    Lo spavento in tutti gli ordini del popolo fu grande, e tale che sembravano sciolti i legami più teneri di natura, più stretti di società; parenti e amici dagli amici e parenti denunziati, perseguiti, uccisi; gli uomini ridotti come nel tremuoto, nel naufragio, nella peste, solleciti di sé medesimi, non curanti del resto dell'umanità. Per le quali opere ed esempi viepiù cadendo i costumi del popolo, le susseguenti ribellioni, le sventure pubbliche, le tirannidi derivavano in gran parte dal come nel regno surse, crebbe e fu spento il brigantaggio. Questa ultima violenza non fu durevole: tutti i Calabresi, perseguitati o persecutori, agirono disperatamente; e poiché i briganti erano degli altri di gran lunga minori, e spicciolati traditi, sostenitori d'iniqua causa, furono oppressi. Sì che, di tremila che al cominciare di novembre le liste del bando nominavano, né manco uno solo se ne leggeva al finire dell'anno; molti combattendo uccisi, altri morti per tormenti, ed altri di stento, alcuni rifuggiti in Sicilia, e pochi, fra tante vicissitudini di fortuna, rimasti, ma chiusi in carcere. (Libro VII, Regno di Gioacchino Murat (1808-1815), Capo II "Fatti di guerra e di brigantaggio, poi distrutto.", XXVII-XXVIII, Tip. e libreria Elvetica, Capolago, 1834)

Explicit[modifica]

Perciò in sei lustri centomila napoletani perirono di varia morte, tutti per causa di pubblica libertà o di amore d'Italia; e le altre italiche genti, oziose ed intere, serve a straniero impero, tacite o plaudenti, oltraggiano la miseria dei vinti; nel quale dispregio, ingiusto e codardo, sta scolpita la durevole loro servitù, insino a tanto che braccio altrui, quasi a malgrado, le sollevi da quella bassezza. Infausto presagio, che vorremmo fallace, ma discende dalle narrate istorie, e si farà manifesto agli avvenire; i quali ho fede che, imparando da' vizi nostri le contrarie virtù, concederanno al popolo napoletano (misero ed operoso, irrequieto, ma di meglio) qualche sospiro di pietà e qualche lode: sterile mercede che i presenti gli negano.

Citazioni su Pietro Colletta[modifica]

  • Il Colletta mostrò, che a qualunque parte dell'attività umana egli si volgesse, lasciava tracce di animo perseverante e di mente alacre. Nell'amministratore, nell'uomo di guerra, potevi scorgere lo storico futuro. Io non obblierò mai, come egli me presente, tornava spesso col pensiero dalla stanza del suo esiglio a quei tempi della sua amministrazione, e rimpiangeva di non aver nell'argomento della scuola primaria avvisato l'importanza della istruzione femminile verso la maschile, e della scuola primaria verso la secondaria. (Paolo Emilio Imbriani)
  • Il Colletta volle essere scrittore nella nobile lingua d'Italia; e scrittore divenne per quella forza di volontà che gli facea sempre conseguir lo scopo. Ma il volere utile è de' forti, e forte era l'intelligenza del Colletta. Il suo stile molto acquistò dallo studio; ma la efficacia e l'evidenza maggiore gli venne dalla retta concezion del subbietto. Chi è robusto pensatore, è buono scrittore.
  • Intorno al Colletta, [a Firenze] [...] si riunivano in amichevoli ritrovi il Vieusseux, il Montani, il Leopardi, il Frullani, il Forti, il Giordani, e Samuele Jesi incisore; e il Colletta era lietissimo se poteva trattenerne alcuno a mensa, per protrarre i colloqui fino a tarda sera. In quei convegni amichevoli, nei quali si disputava di politica e di letteratura, il Colletta esercitava una tal quale autorità presidenziale, che per l'età, il grado, e la parola facile e risoluta, eragli dagli altri consentita. Il Colletta soleva dire che quando egli, il Capponi ed il Frullani si trovavano insieme, il quarto che sopraggiungeva era sempre importuno. (Marco Tabarrini)
  • Io oso affermare, che raccogliendo varii brani della sua Storia del Reame di Napoli, si potrebbe fermare il più eloquente e veridico elogio di quel sovrano [Ferdinando I delle Due Sicilie], non solo sopra tutt' i rami dell'amministrazione, ma sulla stessa sua bontà e clemenza. Si è perciò che dico di più, che si potrebbe confutar Colletta col medesimo Colletta, mettendo in contraddizione un paragrafo con un altro, un'accusa con un elogio, una malevola affermazione con un'altra diametralmente opposta. (Giuseppe Buttà)
  • Lo storico Pietro Colletta è quello che più di tutti gli scrittori contemporanei si sforzò di denigrare e calunniare Ferdinando I. Egli schizzò, nella sua storia-libello, tutto quel veleno accumulato nel suo cuore in tanti anni che aveva congiurato contro i Borboni di Napoli, malgrado che costoro, per ben tre volte, l'avessero perdonato, reintegrandolo in quei gradi ed onori ottenuti dalla rivoluzione e da' re francesi. (Giuseppe Buttà)
  • Il Colletta è passato e passa ancora, nell’opinione generale, per uno scrittore poco esatto e, quel ch’è peggio, di poca buonafede. Ora invece ogni studio particolare, che si pubblica sui fatti trattati nella sua storia (compresi i pochi esaminati di sopra), prova, se non sempre la sua esattezza (di quale storico si potrebbe pretendere codesto!), sempre la sua buona fede. Di che ho anch'io molti altri argomenti da esser persuaso, e son certo che, tra breve, riuscirà agevolissima la seguente dimostrazione. Che, cioè, il Colletta, nell’accingersi alla sua storia, si senti e si mise in disposizione di storico, alto, sereno, e, nel lavorarla, fece tutte le ricerche, che ai suoi tempi poteva fare, e non travisò volontariamente la verità, come è provato invece che la travisassero spesso volontariamente i servitori borbonici (per chiamarli col titolo da essi ambito), che scrissero in opposizione di lui. (Benedetto Croce)
  • Pochi scrittori, per quanto sappiamo, hanno messo nelle opere loro tanta parte di sé quanto il Colletta, il quale dell'opera sua [Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825] aveva fatto occupazione indefessa e fine unico alla vita. «Ho corretto da capo a fondo il primo Libro, scriveva al Capponi nel 1830, e presto lo copierò; aspetto da Napoli i materiali per il secondo... Se avrò altri tre anni di vita, compirò i dieci libri e morirò il giorno seguente.» E fu presso a poco così. (Marco Tabarrini)

Bibliografia[modifica]

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Opere[modifica]